Suonare a memoria: necessità o spettacolo?

Pubbicato
03 July 2025
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  • Musica

Durante i miei studi mi sono spesso chiesto: esibirsi a memoria è davvero una necessità o solo una forma di spettacolo?

Premetto che questo articolo non vuole essere un saggio accademico, ma nasce come spunto di riflessione, frutto di esperienze personali e di numerosi scambi con colleghi nel corso degli anni.

Poiché suonare a memoria è fonte di stress per molti musicisti, proviamo ad analizzare la questione da un punto di vista storico e tecnico, per poi interrogarci sull'effettiva utilità di questa pratica oggi.

Cenni storici

Un nome fondamentale, se vogliamo parlare di memoria in ambito musicale, è quello di Franz Liszt. Oltre a essere uno dei compositori più influenti del repertorio romantico, fu anche un celebre virtuoso del pianoforte. Liszt era noto per esibirsi con programmi interamente a memoria.

Anche prima di lui, alcuni musicisti erano riconosciuti per la loro straordinaria memoria musicale: basti pensare a Wolfgang Amadeus Mozart, Felix Mendelssohn o Niccolò Paganini. Tuttavia, è con Liszt che l’esibizione a memoria inizia a diffondersi come pratica comune, soprattutto nel recital solistico.

Oggi, anche nel mondo della musica pop, esibirsi a memoria è molto frequente. Nella maggior parte dei casi, soprattutto per i solisti, la partitura non è presente durante l’esecuzione.

Da un punto di vista tecnico

Avrai probabilmente sentito questa affermazione: suonare a memoria elimina il rischio legato al voltare le pagine, potenziale fonte di distrazione, soprattutto per i pianisti. Tuttavia, voltare le pagine può diventare un gesto armonico e controllato, e spesso viene affidato a un assistente. Per questo motivo, non prenderò questa argomentazione in considerazione.

Più interessante è porci una domanda: quando suoniamo con la partitura davanti, stiamo davvero leggendo?

Spesso, anche con la partitura sul leggio, ci stiamo in realtà esibendo a memoria. Questo accade perché facciamo largo uso della memoria procedurale, quella che guida i movimenti automatici e abituali, senza che ne siamo pienamente consapevoli.

Proprio perché non possiamo accedere in modo diretto alla memoria procedurale, la partitura assume il ruolo di punto di riferimento visivo o psicologico. Ma in molti casi, più che leggere realmente, replichiamo un comportamento appreso: guardiamo la partitura come parte di un gesto abituale, senza un reale sforzo cognitivo.

Per questo motivo, mi sento di dire che ciò che fa davvero la differenza, sia che si suoni a memoria sia con la partitura, è la consapevolezza con cui si affronta l’esecuzione.

Senza entrare troppo nel dettaglio — a cui dedicherò un articolo a parte — ecco due condizioni fondamentali per un confronto onesto tra le due modalità:

  • Se suoniamo con la partitura, dobbiamo mantenere un controllo attivo, seguendo consapevolmente ciò che stiamo leggendo, senza fingere attenzione.
  • Se suoniamo a memoria, non possiamo affidarci solo alla memoria procedurale: dobbiamo avere altri punti di riferimento e piena cognizione di ciò che stiamo facendo.

In entrambi i casi, il punto centrale rimane la presenza mentale. Si potrebbe pensare che suonare senza spartito renda più liberi ed espressivi, ma non è la partitura a limitare la performance: è l’assenza di concentrazione.

In conclusione: è necessario suonare a memoria?

Personalmente, eviterei di adottare una posizione rigida. A mio parere, ogni musicista dovrebbe sentirsi libero di scegliere se utilizzare o meno la partitura sul palco.

Mantenendo questa flessibilità, mi preme sottolineare come suonare a memoria possa offrire numerosi benefici. Innanzitutto, preparare un concerto a memoria richiede un tipo di studio particolare, che porta a costruire una sorta di mappa mentale del brano, utile a sentirsi sicuri durante la performance.

Questo approccio stimola ad approfondire la struttura e la forma del brano, riducendo così il rischio di vuoti di memoria durante il concerto e aumentando la consapevolezza.

Suonare a memoria — soprattutto in repertori vasti e complessi — è certamente anche una forma di spettacolo, ma può anche rappresentare una sfida stimolante e personale, con una conseguente soddisfazione al termine dell’esecuzione.

Detto ciò, ricordiamoci che ciò che rende un musicista libero di esprimersi non è tanto aderire a una prassi, quanto potersi sentire a proprio agio nel modo in cui sceglie di comunicare attraverso la musica. E se per sentirsi a proprio agio serve la partitura, ben venga la partitura sul leggio.

La concentrazione, prima ancora della memoria, gioca un ruolo fondamentale nell'esecuzione, perché essere davvero presenti — qui e ora — permette di trasmettere un messaggio autentico e carico di espressione.

Ti sei mai chiesto anche tu se suonare a memoria sia davvero necessario? Se hai pensieri, esperienze o opinioni su questo tema, scrivimi: sarò felice di confrontarmi!